Parc Adula

Progetto di parco nazionale

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Dorothea Rigonalli

 

Dorothea Rigonalli 

Dorothea Rigonalli è nata nel 1958 a Thun (BE); da sempre attiva negli scout, per i quali ha lavorato 3 anni presso l’Ufficio Internazionale Scout a Berna, scopre e s’innamora della Val Calanca in giovane età, grazie all’esperienza dello scoutismo, e si trasferisce a Cauco, sposandosi e prendendo in mano l’azienda agricola dei suoceri insieme al marito. Da 20 anni a questa parte Dorothea gestisce l’azienda Pelegat, è stata vicesindaco di Cauco, in un municipio composto da 5 donne, ed è madre di 3 figlie: Lucia, la più grande, lavora con lei in fattoria. Dinamica, innovativa, aperta al mondo, Dorothea Rigonalli si racconta così.

 

PARC ADULA. Dorothea, tu sei originaria di Thun, ma da diversi anni vivi in Val Calanca: cosa ci puoi dire di questo passaggio dalla vita, spesso frenetica, di una città a un’esistenza in cui i ritmi sono sicuramente meno serrati, sebbene altrettanto intensi?


DR. Sono arrivata in Calanca 34 anni fa. Devo dire che sono stata ben accolta e accettata dalla popolazione, anche perché, per indole, ritengo di essere una persona molto tollerante e aperta al dialogo. In questo senso posso dire di aver imparato molto dai calanchini, in primis il dialetto, che ritengo essere un veicolo d’integrazione fondamentale in una realtà come questa. Amo questa regione e la sua natura incontaminata e, al contrario di quanto si possa pensare, mi piace ricordare che la Calanca non è fuori dal mondo; in fondo fino a Bellinzona ci si mette poco più di mezz’ora, meno di un’ora fino a Lugano. Ho sempre pensato che l’unione faccia la forza; in questo senso sono convinta che una fusione dei comuni non potrà che portare benefici. Vorrei però precisare una cosa: non sono fuggita dalla città per ritrovare me stessa nella natura. Ho scelto di venire in Calanca perché è qui che volevo mettere in piedi una piccola impresa e darmi da fare.


PA. Su questo non c’è dubbio, ti sei decisamente data da fare! Parlaci della tua azienda agricola.


DR. Gestisco l’azienda agricola Pelegat, certificata con il marchio BIO e Naturabeef, da 20 anni a questa parte. Il mio contributo più importante e decisivo per l’azienda è senz’altro stata la decisione di puntare sulle vacche nutrici, a differenza di quanto si era abituati a fare in valle anni fa. Oltre a vacche e vitelli abbiamo capre, maiali, asini, galline e oche; ho sempre desiderato avere una fattoria a 360°! La vendita dei nostri prodotti, che spaziano dalla carne fresca a quella secca, dalle salsicce al capretto, dal formaggio di capra fino ai büscion, avviene in forma privata e diretta, tanto nelle regioni italofone quanto a Zurigo, dove una cooperativa locale promuove i nostri prodotti. Il passaparola, poi, è sicuramente fondamentale in quest’ambito.
 

PA. Sei una donna dalle mille risorse e t’impegni in un’infinità di progetti: elencacene alcuni.
 

DR. Da qualche anno a questa parte abbiamo iniziato, con altre aziende e alpeggi, a organizzare una serie di brunch, in particolare quello del 1° Agosto, che si sta rivelando un successo, considerando che l’afflusso di persone si aggira intorno alle 250 unità a edizione. Molti ospiti, poi, tornano di anno in anno, e questa è una grande soddisfazione: significa che abbiamo fatto bene il nostro lavoro. Inoltre ho inaugurato quello che amo chiamare “atelier del pane”, un piccolo locale in cui preparo vari tipi di pane, compresa la treccia, che, nei mesi estivi, quando i turisti si avventurano in valle, vendo in grandi quantità. In alta stagione arrivo a produrre fino a 25 kg di pane al giorno! Poi c’è la Calatour, una piccola impresa di catering che gestisco insieme ad altre donne della Calanca; prepariamo aperitivi e pranzi su richiesta, utilizzando esclusivamente prodotti locali, e spesso ci cimentiamo in antiche ricette della regione, come, ad esempio, l’ammazzafam (o maluns), che consiste nel cuocere in una grande padella patate, farina di polenta e una considerevole quantità di burro per circa 2 ore. Si tratta di una ricetta che risale alla notte dei tempi, quando le risorse in valle erano poche e ci si arrangiava con quel che c’era. Non da ultimo sono responsabile per la logistica dei prodotti regionali; il nostro scopo, in questo senso, è di portare le specialità della valle in tutta la Svizzera. Amo l’idea di unirci, di presentarci come un’entità; al momento stiamo ancora definendo il nostro sito web, ma siamo presenti con una certa regolarità a vari mercati ed eventi regionali.
 

PA. Ci pare di capire, quindi, che per te le sinergie hanno un’importanza molto marcata.
 

DR.Assolutamente. Per natura mi piace guardare oltre e, come detto, credo che presentarci uniti, noi contadini della Calanca, possa solo esserci d’aiuto, anche per sfatare il mito di una comunità chiusa, periferica e statica. In questo senso il progetto del caseificio è esemplare.
 

PA. Il caseificio, appunto: un progetto di cui si parla da diversi anni. Raccontacelo.


DR. L’idea di un caseificio, che vedrà la luce a Bodio (Cauco), è nata con lo scopo di unire le forze, un mezzo per noi contadini di delinearci anche al di fuori della Val Calanca. È innegabile che l’appeal a livello svizzero di un caseificio situato in Calanca sia estremamente forte. Col passare del tempo il caseificio è rientrato nel più ampio progetto di sviluppo regionale, finanziato dall’Ufficio federale dell’agricoltura, in collaborazione con i Cantoni. Ci stiamo lavorando dal 2009 e includerà anche diversi alpeggi, come l’alpe caprina di Stalvedro, sopra Arvigo, dove la mia intenzione sarebbe quella di organizzare un agriturismo. In teoria nel 2015 dovrebbero prendere il via i lavori di costruzione del caseificio che, una volta costituito, farà capo al latte della Calanca, ma non solo; includeremo anche agricoltori dalla Mesolcina, in una cooperativa di ampio respiro. Al caseificio vorrei poi affiancare una fattoria didattica, un luogo di ritrovo per le numerose scuole in gita dalle nostre parti, dove poter insegnare la vita contadina, il contatto con la natura e l’importanza dell’agricoltura di montagna.
 

PA. Parliamo del progetto Parc Adula; cosa credi possa portare alla Val Calanca?


DR. Il progetto Parc Adula s’incastra alla perfezione nella mia idea di unificazione. Se dovesse essere accolto, ci aiuterebbe sicuramente ad avere un nome condiviso a livello nazionale e internazionale, uno strumento, insomma, in grado di valorizzare la nostra regione. Personalmente vedo il progetto Parc Adula come una sorta di cornice: mette in mostra quanto abbiamo di bello in Calanca, dal paesaggio naturale ai muri a secco fino agli alpeggi. Dovesse diventare realtà, credo ci porterebbe molto anche a livello di collaborazione e scambio con le altre regioni del parco, sinergie utili, formative e senza dubbio costruttive. Da parte mia ho avuto modo di collaborare con il team Parc Adula in occasione dei brunch informativi organizzati dall’associazione, momenti di svago, certo, ma anche un’importante piattaforma per un sano scambio d’opinioni, oltre a una grigliata organizzata per una gita scolastica, sempre in collaborazione con il progetto Parc Adula.


Discuto spesso del progetto con gli abitanti della valle e cerco sempre di far loro capire che non per forza di cose tutto deve rimanere invariato, cristallizzato nel tempo; i cambiamenti sono il motore dello sviluppo e della crescita. Detto ciò, non mi pare che il Parc Adula porterebbe a stravolgimenti epocali; i vantaggi, per contro, potrebbero essere molti.

 

Parc Adula, 30 | 8 | 2014